All’indomani dell’entrata in vigore della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno (L. n. 6/2004) ci fu chi sostenne che nell’arco di qualche anno ogni famiglia italiana avrebbe avuto al suo interno almeno un beneficiario di amministrazione di sostegno.

In effetti, a tredici anni dall’introduzione dell’istituto, le procedure avviate sono migliaia in tutta Italia.

Un breve excursus sulla nascita dell’istituto può essere utile a comprenderne maggiormente pregi e potenzialità.

Prima del 2004 per la tutela di persone con disabilità più o meno gravi vi erano solo due strade: l’interdizione e l’inabilitazione. Nel primo caso il soggetto viene del tutto privato della capacità di agire, con la conseguenza che qualunque atto, tanto di ordinaria (eccetto casi molto particolari) quanto straordinaria amministrazione, può essere compiuto solo da chi ha la rappresentanza legale dell’interdetto: il tutore.

L’inabilitazione, invece, è destinata a quei soggetti che per prodigalità, uso di sostanze stupefacenti o abuso di alcol necessitano di assistenza nel compimento di determinati atti o, per meglio dire, del consenso di un soggetto terzo – il curatore, per l’appunto – che valuti insieme a loro la convenienza dell’atto. Sin d’ora occorre precisare che con l’avvento dell’amministrazione di sostegno l’inabilitazione è quasi del tutto scomparsa.

Non è difficile immaginare come le due forme di protezione avessero ed abbiano un margine limitato di applicazione: privare completamente un soggetto della capacità di agire era ed è provvedimento estremamente limitativo, da utilizzare in casi di evidente incapacità a provvedere ai propri interessi.

Rimaneva dunque scoperta un’ampia fetta di popolazione che per ragioni anagrafiche o per malattie o disabilità di gravità contenuta aveva comunque necessità di un supporto nella gestione del proprio patrimonio e della propria persona, senza che occorresse provvedere in maniera drastica attraverso gli istituti sopra brevemente delineati.

Per queste ragioni nel 2004 il legislatore è intervenuto a colmare il vuoto normativo introducendo l’amministrazione di sostegno, istituto al quale possono ricorrere le persone che si trovano nell’incapacità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una menomazione fisica o psichica.

In generale, quindi, l’amministrazione di sostegno è una misura meno grave rispetto all’interdizione e rappresenta un istituto sufficientemente duttile a tutela dei soggetti disabili o anziani non autosufficienti, che rispetta e valorizza la loro residua capacità di agire.

Come raggiungere questo scopo? Rispetto all’interdizione, in cui la sentenza emessa dal Tribunale priva completamente l’interdetto della capacità di agire (un provvedimento, quindi, tranchant), nell’amministrazione di sostegno il provvedimento del Giudice Tutelare è modellato sulla base delle esigenze del beneficiario: vi saranno pertanto degli atti che questi potrà continuare a compiere liberamente ed altri in cui sarà necessaria l’assistenza o la rappresentanza dell’amministratore di sostegno. Il Giudice è libero di valutare lo stato psico-fisico del soggetto e “cucire” sul beneficiario un provvedimento ad hoc.

In ogni caso quest’ultimo conserva la capacità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana: fare testamento (se capace di intendere e di volere al momento della redazione), sposarsi e riconoscere i propri figli.

Il ricorso per l’apertura della procedura di amministrazione di sostegno può essere rivolto direttamente al Giudice Tutelare dal beneficiario, dai suoi familiari entro il 4° grado (ovvero genitori, figli, fratelli o sorelle, nonni, zii, prozii, nipoti, cugini), dagli affini entro il 2° grado (ovvero cognati, suoceri, generi, nuore), dal Pubblico Ministero e – infine – dagli assistenti sanitari e sociali che nello svolgimento delle loro mansioni si siano imbattuti in una situazione che richieda l’apertura del procedimento.

Chi può essere scelto come amministratore di sostegno? Si privilegiano generalmente gli stretti congiunti (coniuge, figli, genitori…) o chi ha precedentemente indicato il beneficiario: vi è infatti la possibilità di designare per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (recandosi, quindi, da un notaio) chi in caso di propria eventuale futura incapacità debba essere scelto come amministratore di sostegno.

Dati alla mano, nella prassi dei Tribunali l’amministrazione di sostegno è stata applicata principalmente nei confronti degli anziani con finalità di gestione dei loro beni mobili (denaro) ed immobili, compresa la riscossione della pensione, nonché per la manifestazione del consenso informato alla somministrazione di cure e di terapie, specie in relazione a malattie tipiche della condizione senile. Nel caso si tratti di persone affette da malattie croniche, quali ad esempio il Morbo di Alzheimer, l’amministrazione di sostegno ne agevola la cura, anche se questi ancora non ha del tutto perso la capacità d’intendere e di volere, tenuto conto che la suddetta patologia è soggetta ad un costante peggioramento. L’istituto, infine, rappresenta una buona soluzione in relazione alla cura degli interessi dei beneficiari quando tra i figli dei medesimi vi siano situazioni di conflittualità.

Alessandro Sampò