Vi è una bella storia Sufi.
Un giorno l’asino di un contadino cadde in un pozzo abbandonato e secco. Non si fece male ma non riusciva ad uscire. L’asino iniziò a ragliare forte ed il contadino, disperato, cercò ogni modo possibile per farlo uscire. Non riuscendo e pensando che l’animale era ormai vecchio, decise con tristezza di chiudere il pozzo: con l’aiuto di vicini iniziò a buttare palate di terra dall’imboccatura nel fondo.
L’asino iniziò a disperarsi ma dopo un po’ decise di liberarsi pian piano dal terriccio che pioveva dall’alto. Scrollandosi la terra di dosso e salendoci pian piano sopra, in poco tempo, l’asino riuscì ad arrivare fino all’imboccatura del pozzo, uscendone.
Cosa ci insegna questo racconto? Dopo un primo sconforto e disperazione, l’asino ha iniziato ad accettare quello che stava succedendo senza arrendersi o sentirsi vittima della situazione. Scrollandosi di dosso la terra, quella stessa terra è diventata la sua risorsa.
“Accettare” la situazione per molti significa” rassegnarsi” mentre invece significa fare tesoro delle opportunità che abbiamo.
La realtà è una nostra proiezione e, quindi, è possibile modificarla. Ma prima occorre modificare qualcosa dentro di noi. Se preferiamo lamentarci, la vita ci offrirà certo sempre nuovo materiale per continuare a farlo. Ma sarà una resa.
Ora occorre rimboccarci le maniche, comprendere la realtà e gli errori commessi da chi ha dovuto assumere decisioni impreviste ed uscirne fuori. Consapevoli che, sebbene “distanziati” la solidarietà tra tutti noi non è morta.
Non penso che “tutto andrà bene”. Almeno nel senso che i cartelli comunemente intendono. Non penso che ne usciremo migliori per forza. La realtà è questa. La globalizzazione ed il progresso tecnologico ci hanno fatto dimenticare l’essenza del flusso della vita, che non è solo divertimento ed assenza del disagio. Basti pensare al sondaggio fatto a Pecetto tra i giovani: ciò che più viene ritenuto prioritario è… la connessione telematica.
La globalizzazione consumistica ha colonizzato ogni ambito della nostra esistenza. Tutto deve catturare la nostra attenzione per poi svanire prima possibile per far posto a nuovi stimoli.
La fede nella tecnologia ha poi dato la sensazione di non aver più bisogno della politica. Anche la politica ha voluto rincorrere la tecnica e le è corsa dietro: nessuna visione a lungo periodo, nessuna programmazione, poca visione critica ed accettazione della globalizzazione anche delle informazioni. Dimenticando che la vita non è uniformità: l’uniformità nutre il conformismo ed il conformismo nutre l’intolleranza. Il dibattito è ora relegato sui social: e lì non c’è dibattito ma tifo.
Ne usciremo quindi migliori solo se la politica saprà assumersi nuovamente la responsabilità. Tocca infatti alla politica, e non alla tecnologia, trovare nuove strade, ridare senso al vivere comune, all’essere comunità.
La lama del coltello (tecnologia e scienza) può tagliare il pane ma anche uccidere. Spetta all’uomo (ed alla politica) sapere come e quando usare il coltello.
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